Materiali e Spirituali del Presepio 2007di Mario Fallini nella Chiesa di San Roccoad Alessandria.
di Mario Mantelli
I - L'ARCO
L'arco di legno (1), alto quattro metri e mezzo per tre metri di base, collocato nella cappella di sinistra della chiesa barocca , è l’eco di altri archi retrostanti, in muratura e dipinti, di un’architettura che richiama in piccolo la soluzione delle cappelle laterali della chiesa del Carmine di Filippo Juvarra a Torino. Arco, dunque, come eco di echi, ma contemporaneamente arco come ascolto, per via della sua forma che richiama il padiglione dell’orecchio. Ascolto come attesa, anzi, presentimento. Giorgio de Chirico dipinge l’arco dandogli un significato di presentimento, citando al proposito il pensiero del filosofo Otto Weininger.
L’arco come simbolo di incompletezza, come metafora della vicenda umana che trova nel nostro caso compimento nel Cristo, non a caso posto al di sotto dell’arco come altra e definitiva chiave di volta a chiusura di un cerchio ideale. L’arco di cui parliamo è nella fattispecie un portale di legno tinto di bianco. Il portale, la porta in genere, è realtà terza, separatoria fra due spazi, che possono essere il mondo dell’ Immanenza e il mondo della Trascendenza oppure l’Avanti Cristo e il Dopo Cristo: ciò è ancora confermato dal fatto che alla base del portale sta la statua del Bambino Gesù. Teniamo infine presente che l’arco è un tema ricorrente nell’iconografia della Natività, in genere come rudere di un palazzo, che rappresenta il mondo antico in dissoluzione.
II - I LIBRI NELLE TECHE DALLE ANTE CHIODATE
Il portale si regge su due pilastri formati da teche impilate l’una sull’altra, quattro per parte. Ciascuna teca è chiusa da un’anta. L’interno dell’anta porta un motivo decorativo realizzato mediante chiodi incollati per la capocchia: pertanto una decorazione fatta da aculei che, chiudendosi, vanno a configgersi nei libri di teologia che, per così dire, riposano nelle teche. L’assunto dell’Autore, ben commentato da Franco Ferrando, è un chiaro riferimento a Luca 10, 21: “Ti glorifico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli scaltri e le hai rivelate ai semplici”. Di rincalzo potremmo aggiungere Luca 11, 52: “Guai a voi, dottori della legge, perché avete rubato la chiave della scienza: voi non siete entrati e lo avete impedito a coloro che volevano entrare!”.
I libri sarebbero visti dunque come i prodotti dei sapienti, degli scaltri, dei dottori della legge e sarebbero da biffare con i chiodi, per prestare attenzione ad altre parole. Interpretazione forse troppo cruda e poco natalizia, tant’è vero che Silvio Manzotti ne ha fornito una opposta: non bisogna chiudere quelle ante chiodate perché la cultura non venga ferita, concetto ripreso, durante l’inaugurazione del presepio, dal vescovo Giuseppe Versaldi, che ha invitato a lasciare aperte le ante (e non poteva essere che così: aprire ha presso la nostra cultura significato positivo, di accoglienza; chiudere è negazione). Personalmente avanzerei una terza interpretazione: le ante vanno chiuse affinché i chiodi vadano a sollecitare, a risvegliare delle parole che nel frattempo possono essere diventate come morte e non dicono più nulla. Più in particolare la venuta di Cristo porta a trasformare e a dare un nuovo significato alle parole dell’Antico Testamento. Comunque si voglia fissare il significato dei chiodi in questo contesto, è d’obbligo fare un paio di considerazioni: una sulla loro valenza simbolica all’interno dell’opera di Fallini e un’altra sul valore del chiodo per il nostro inconscio. Nel primo caso notiamo che l’Autore disegna sovente le sue immagini con le parole scritte, così come fa con i chiodi (2); quindi nel suo codice espressivo le parole possono anche essere dei chiodi, possono ferire (significativo è l’accostamento parole-chiodi, messo in evidenza dalla lente che compare nell’invito al Presepe d’Autore, l’iniziativa a cura di Manzotti giunta alla sesta edizione, in cui si inserisce l’opera di cui stiamo parlando). Tale analogia potrebbe comportare questo tipo di conseguenza: è meglio tacere che ferire. E’ forse per questo motivo che tutte le immagini disegnate dai chiodi, che Fallini compone (si pensi alle sue allegorie), si portano dietro una forma di silenziosa ieraticità, che si ripropone anche qui, nei misteriosi motivi decorativi delineati sulle ante. Come a dire: mi scaglio contro qualche cosa, ma conservo un certo ermetismo, che andrà capito; uso i chiodi per parlare, ma contemporaneamente mi chiudo a riccio; dico, ma contemporaneamente faccio silenzio. Non a caso i chiodi delle ante disegnano le forme dei fregi che nei vecchi libri chiudono un paragrafo od un capitolo, forme che cadono sulla pagina quando cala il silenzio. Contemporaneamente queste stesse decorazioni parlano di un’ostilità verso qualcosa e se alziamo lo sguardo verso l’alto della cappella che ospita il presepio possiamo intuire di che cosa si tratta. Esse hanno andamenti barocchi e sembrano un polemico controcanto dei capitelli compositi che decorano l’ambiente, sono come dei trofei di caccia di quel barocco tuttora vivo e operante nelle chiese di oggi, che Fallini evidentemente condanna come sovraccarica superfetazione a favore della nuda purezza del suo arco bianco (ma c’è da dire che questa forma pura prende vigore dal contrasto con il policromo contesto barocco). La seconda considerazione da fare riguardo ai chiodi è il valore minaccioso che esprimono specialmente quando la punta è rivolta verso di noi; effetto che si moltiplica quando, come in questo caso, la luce radente dei fari allunga le loro ombre e smangia le ante variamente aperte con effetti drammatici. In ambito cristiano agisce poi inevitabilmente il richiamo alla crocifissione. Al proposito occorre notare che stabilire una connessione fra i chiodi e il presepio richiama un’antica tradizione iconografica che vede Gesù Bambino messo in relazione coi simboli del patimento in croce e della morte o addirittura mostra il suo corpo infantile piagato e straziato dai chiodi, come succede, per scegliere un esempio prossimo, nella Maternità quattrocentesca della seconda cappella a destra della chiesa di San Domenico a Casale Monferrato.
III - L'ANGELO DISEGNATO CON LE PAROLE
Sotto l’arco, vicino all’intradosso, vola la sagoma di un angelo disegnato con le parole dei Vangeli della Natività di Matteo e Luca. Questo calligramma delinea le forme di un angelo un po’ sgraziato, come quelli rappresentati nella pittura altomedievale. In questa deprivazione di grazia sofferta dall’angelo, se avessimo la stessa sensibilità al simbolo dell’uomo medievale, potremmo leggere forse, al momento della nascita del Bambino e nell’equilibrio cosmico, un depauperamento della Grazia presso le creature del Cielo a favore di quelle della Terra dotate di buona volontà. Ma l’angelo proposto da Fallini non è soltanto l’angelo che annuncia la pace agli uomini di buona volontà, ma è anche un astro, un corpo astrale, che proietta la sua ombra sull’intradosso dell’arco illuminato dal basso con un potente effetto di suggestione che richiama quella esercitata dalla luna e dalla sua ombra. Di fatto l’angelo è un angelo - stella cometa, come è dimostrato inequivocabilmente dalla componente n.4: il cannocchiale.
IV - IL CANNOCCHIALE
Su un piedistallo è posto un cannocchiale, che serve a leggere le parole dei Vangeli della Natività, parole che, abbiamo visto, delineano le fattezze dell’angelo. E’ una scrittura tra lo stampatello minuscolo e il corsivo, alta pochi millimetri, realizzata con un pennarello il cui inchiostro ha riflessi tra il dorato e il ramato. L’osservatore, alla distanza di oltre quattro metri, non riesce neppure ad accorgersi che si tratta di parole. Ma guardando attraverso il cannocchiale l’osservatore se ne rende conto e diventa protagonista di questo presepe, che non ha figure salvo il Gesù Bambino: diventa allo stesso tempo il pastore che guarda la stella cometa e uno dei Re Magi che interpreta i segni del cielo. Ecco che nel momento della fruizione attiva del presepio da parte del visitatore l’angelo si trasforma nella stella cometa e l’osservatore diventa un particolare “pastore della meraviglia”, stupito nel rendersi conto che le linee che definiscono l’angelo sono in realtà parole dei Vangeli e che il Verbo quindi è diventato qualcosa che si può toccare. Ma contemporaneamente chi guarda attraverso il cannocchiale è il re sapiente che arriva dall’Oriente, spinto a ricercare un segno scritto nel cielo, un verbo ben diverso da quello scritto nei libri. Il calligramma dell’angelo è dunque un astro-logo. Ci sarebbero forse state altre possibili rese presepiali di un cielo che si fa intelligibile, che so: dei solidi platonici fatti di carta stellata. Ma la scelta della parola scritta è deliberata e polemica. Vuole dire: guardate che quella parola scritta che forma l’angelo è ben diversa da quella dei libri scritti dagli uomini: è parola che proviene dal Cielo.
V - LA STATUA TRADIZIONALE DI GESU' BAMBINO
L'a solitudine del presepio di Fallini può apparire singolare e un po’ inquietante, ma è significativa per almeno tre motivi. Uno è quello, che abbiamo appena visto, di coinvolgere in maniera più facile e intima, l’osservatore che, accostandosi al cannocchiale, partecipa attivamente al presepio stesso diventandone una figura che, potenzialmente, come nella rappresentazione locale del Gelindo, potrebbe essere di volta in volta diversa rivestendo così tutti i ruoli. Un secondo motivo è stato messo in evidenza da Ferrando, che fa notare l’evocazione della memoria personale dei presepi vissuti che, bisogna aggiungere, per Fallini è ricca di tutta una storia infantile e anche adulta (3). Ma un terzo motivo è quello teologicamente più ricco e ancora una volta trova i suoi riferimenti nell’iconografia cristiana. Il Gesù Bambino che chiude un arco richiama la figura del Cristo Cosmocratore, figura che ingloba in sé tutto il Creato, recingendolo in un abbraccio circolare, sostituendo la figura di Dio Padre come Creatore. All’interno di questo cerchio è compresa tutta la Creazione. Quindi nell’arco chiuso da Gesù Bambino dobbiamo leggere l’esistenza di tutto quanto il Creato. Trattandosi di un presepio, dobbiamo scorgervi tutta la creaturalità, dalla più alta (la Madonna) alla più bassa (il bue e l’asino), con una resa emblematica del visibile tramite l’invisibile ( cioè l’assenza), che sembra essere la cifra simbolica complessiva del presepe 2007 di Fallini.
Alessandria, Natale 2007
(1) L’ opera di falegnameria è di Giovanni Avalle. (2) Più di un osservatore del presepio 2007 di Fallini ha avuto la sensazione che tutta la sua ultima e ormai lunga produzione relativa ai calligrammi (a partire dal 1991) e alle immagini delineate dai chiodi (a partire dal 1993) abbia trovato come un compimento in questa sua opera (un excursus di questa produzione è rintracciabile nel catalogo della personale di Ovada, Spazio Sotto l’Ombrello / Loggia di San Sebastiano, 16 dicembre 2006 – 21 gennaio 2007). (3) I presepi infantili ricordati nel loro evolversi secondo la sua portata di bambino, da quello a pochi centimetri da terra, nel vano inferiore del mobile radio, contemplabile sedendosi di fronte sullo sgabellino a quello sul tavolino all’altezza degli occhi con lui che diceva dove andavano messe le statuine perché non ci arrivava a disporle, alle interminabili rêveries davanti a questi presepi che venivano smontati tardissimo, all’avvicinarsi della Pasqua; e poi l’estendersi di questa meraviglia ai presepi visitati nelle chiese, sentendosi giudice di un ideale concorso per scegliere quello più bello: tra i tanti il ricordo di quello della demolita chiesetta dell’Annunziata, dove la monetina dell’obolo correva su un piccolo tapis roulant verso Gesù Bambino, aumentando lo stupore. Quindi l’ultimo presepio, in un’età fatidica (21 anni) e in un anno fatidico (il ‘68), composto di figure e di parole, dove tutti i personaggi contestano: il Bambino dice di non essere capito dai genitori, la Madonna si lamenta del fatto che disubbidisce e poi tutti, il Re Magio nero, la lavandaia, il pescatore, il venditore di caldarroste, l’uomo che gira la polenta, portano tutti una loro rivendicazione sociale. Poi arriveranno i presepi del suo mestiere d’artista come la “Natività” esposta alla Cooperativa Ceramica di Imola nel 1995. Tuttora, entrando nel suo alloggio, si viene accolti nell’anticamera, in ogni giorno dell’anno, da un diorama di notte stellata e di minareti a sfondo della console, come in attesa di un presepio ancora da allestire. Quel diorama fa venire il magone perché chi ne ha posseduto uno simile sa che quel disegno meraviglioso diventava accessibile a tutti perché stava per arrivare il benessere del miracolo economico e forse finivano i presepi indimenticabili dell’infanzia.
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