IL CATALOGO 1/2
Critica del Gusto/
Il Forno dell'Arte
testi | Andrea Calzolari - foto | Enzo Bruno
I
n una delle opere esposte, "Pizza Kosuth", a far da sfondo ad una classica “margherita” è riprodotta, in doveroso omaggio al maestro dell'arte concettuale, la colonna dello Zingarelli (VII Edizione, del 1941, se non erro) in cui si trova la definizione di "pizza": definizione utilissima, perché se ne può dedurre l'informazione che si dice pizza, in Umbria, la "schiacciata unta", mentre nelle Puglie è “dolce” e negli Abruzzi è di “granone”; che a Napoli è una "schiacciata sottile di pasta cresciuta, condita con olio, mozzarella o formaggio o alici, e cotta in forno"; in Toscana, infine, il vocabolo, in un'accezione arcaica, designava invece una "forma di cacio di figura come un uovo".
Quest'ultima notizia, trascurata dalle più recenti edizioni dello Zingarelli e dagli altri dizionari contemporanei, proviene probabilmente dal Tommaseo-Bellini (1871), che la registra addirittura come accezione prima, segnalando come seconda ed ultima la schiacciata unta, umbra, che occupa il primo posto nella VII Edizione dello Zingarelli.
Evidentemente nel tempo intercorso tra il 1871 e 1941 le cose erano cambiate e sarebbero cambiate ancora di più: il recentissimo vocabolario Treccani (1991), pur lasciando cadere l'accezione "forma di cacio di figura come un uovo", chiarisce scrupolosamente come oggi il vocabolo, in senso generico, significhi "preparazione culinaria, a base di farina di grano... con l'aggiunta di ingredienti vari e cotta in forno", per specificare però che, in particolare, esso si riferisce la pizza napoletana, nei suoi diversi tipi (napoletana, margherita, marinara, ai funghi, al prosciutto, alle quattro stagioni, ecc.: si noti l’”eccetera”).
Sarei tentato di raccontare anche i risultati delle dotte indagini svolte da G. Prini Braccini , la quale, dopo aver ritracciato la voce già nel latino medievale, sembra averne chiarito definitivamente l'etimo (il vocabolo deriverebbe dall'alto tedesco bizzo-pizzo, nel senso di "morso", poi "boccone", poi "pezzo di pane", infine "focaccia": sicché la napoletanissima pizza dovrebbe il suo nome a una radice trapiantata qui dai goti e/o dai longobardi), ma preferisco chiudere la digressione lessicografica, per tornare a quel che mi premeva sottolineare: la natura polimorfa della pizza, che - come attestano i dizionari - può essere dolce o salata, semplicemente unta o abbondantemente condita e, in quest'ultimo caso, condita praticamente come si vuole (con il prosciutto o con il salame piccante, con le alici o con il tonno, con la mozzarella o con il gorgonzola, con le olive o con i peperoni, con le uova o con i funghi, ecc. ecc.).
Insomma, se mi si permette la similitudine inconsueta (e forse anche poco decorosa, lo ammetto), la pizza è come la materia prima, di cui Aristotele (mi si consenta anche questo trapasso alquanto repentino) diceva che è in potenza suscettibile di qualsiasi forma (veramente le cose sono un po' più complicate, ma non posso far altro che rinviarvi ai testi di una lunghissima tradizione: per cominciare, date un'occhiata al I libro della Fisica aristotelica e poi al IV dialogo del De la causa, principio e uno, di Giordano Bruno).
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