La sartina di "Duetto" sembra essere riuscita a fuggire dalla sua macchina da cucire per concedersi un momento di riposo, ma di riposo non si tratta, infatti, se pure ora sia sdraiata su un'amaca, non smette di imbastire sogni ad occhi aperti. Distesa sulla sottigliezza dei ricordi che tracciano il labile confine che separa il sonno dalla veglia: si culla su una memoria che l'avvolge e la solleva, nell'ineguagliabile e silente intimità dell'evocazione. Un ricordo nel quale ci si ammanta, immersi nella solitudine di ciò che si immagina e non si racconta: la garza evanescente eppure indissolubile della nostra memoria. Tuttavia all'amaca sono appese delle pietre che la ancorano a terra e impediscono alla giovane di astrarsi dal mondo per trattenerla entro lo spessore della realtà. Come in "Apice convulso" siamo di fronte ad un "flatus" che ambisce a fluttuare ma è trattenuto ( in quel caso da una gabbia ). Nuovamente si fronteggiano pesantezza e leggerezza che si contrastano ma paradossalmente si equilibrano. Il flatus qui non è musica né parola ma ricordo. Le pietre provengono dalle miniere di un passato che riemerge, sono le speranze perdute, i rimpianti, i pensieri pesanti che ancorano i sogni.
Camilla Bertolino |
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