L'opera è un chiaro rimando all'insegna dell'ordine cavalleresco del Toson d'oro. Esso fu istituito nel 1431 da Filippo il Buono duca di Borgogna con lo scopo di diffondere la religione cristiana. Il numero limitato dei cavalieri insigniti rendeva l'ordine esclusivo anche per i privilegi concessi ai membri. Il numero inizialmente fissato in ventiquattro cavalieri fu portato a cinquanta da Carlo V. La decorazione della collana, indossata come simbolo di appartenenza all'ordine, riprendeva l'antico mito del vello d'oro. Infatti il pendente era composto da un ariete in oro che pendeva da una catena con motivi a forma di B e pietre focaie. La scelta di richiamare l'antico mito era dovuto probabilmente al fatto che l'ariete era simbolo di innocenza e l'oro di spiritualità e ciò si associava perfettamente alla missione di cristianizzazione per cui era stato fondato l'ordine. La versione di Fallini sembrerebbe essere svuotata di tutto il carico spirituale e mitico dei riferimenti. La collana vuole richiamare per foggia i collari egizi decorati con castoni di gemme preziose mentre l'ariete non è più d'oro. Solo nello sfondo è presente il richiamo cromatico del prezioso metallo. Il simbolo di appartenenza dei cavalieri viene così modificato e piegato a un nuovo valore quasi come a voler dire che quell'esclusività un tempo caratteristica dell'ordine cavalleresco oggi non esiste più perché, come scrive lo stesso Fallini in altra versione del Toson d'oro, "siete in troppi famosi perché la natura umana ricordi tutti i vostri nomi".
Francesca Rusconi
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