Un uccello si libra in volo recando nel becco un filo al quale è appeso un oggetto di forma curiosa. L'opera ci presenta quello che potremmo definire un puro calembour, il titolo costituisce infatti l'insidiosa e ambigua soluzione al rebus che si cela nella composizione dell'autore: il volatile raffigurato è infatti noto con il nome scientifico di vidua e quello volgare di vedova, mentre l’oggetto tenuto a mezzo di un filo è uno dei nove scapoli (l'impresario scapolo delle pompe funebri) del "Grande Vetro" di Marcel Duchamp, dai quali la sposa è irrimediabilmente separata da una linea di orizzonte. Dall’ immagine tratta dall’ ornitologia e da quella prelevata dal Grande Vetro si produce così una terza immagine con un significato proprio che ammicca ad un finale, alternativo a quello proposto da Duchamp, in cui una vedova dopo il "thanatos" ritrova nella fuga con l’impresario scapolo un nuovo "eros". E’ così che si consumano, nel titolo e nelle immagini, la citazione del Grande Vetro, il reciproco rincorrersi di amore e morte e, infine, la sospensione di una nota ornitologica.
di Enrico Ferraris |
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