L'Eco della Parola
di Mario Mantelli
Ad Alessandria, nella regione al di là del Tanaro, è in via di ultimazione la chiesa della SS. Annunziata, voluta da Don Ivo Piccinini e progettata dagli architetti Roberto Carpani, Giulio Masoni e Armanda Tasso. Potremmo considerarla una specie di sacrario dell’alluvione che sconvolse la città il 6 novembre 1994. La precedente chiesa fu sommersa e danneggiata dalle acque e quindi subito dopo si pensò di edificare la nuova utilizzando la vecchia come palafitta. E’ forse anche per questa ragione che ora la SS. Annunziata di Alessandria richiama un’arca di Noè in secca nella pianura fiuviale. La sua forma di grande capannone rurale è tagliata in due da un pontile che si proietta fino alla vista del fiume che fu causa dell’alluvione. ll pontile divide lo spazio ecclesiale nella chiesa vera e propria e in un nartece. Un ampio lucernario che si sviluppa in lunghezza illumina frontalmente l’altare e la Parola. La Parola, in questo caso, non è quella contenuta in un libro, ma è scritta su 231 formelle disposte sulle pareti, a destra e a sinistra dell’altare, secondo l’ideazione di Mario Fallini.
E’ l’opera d’arte in cui più compiutamente si fondono le intenzioni dell’architetto con quelle dell’artista; l’opera rientra infatti in maniera organica nella connotazione del progetto architettonico. Di che cosa si tratta da un punto di vista concreto? Sulle pareti attorno all’altare corre una fascia di formelle a portata di sguardo dell’osservatore. Le formelle, di formato 50x25 cm, composte da un impasto di polvere di pietra lavica, sono rivestite di uno smalto blu su cui spicca la scrittura corsiva in oro del testo biblico, ripartita in tre pagine per formella. Il significato di una trascrizione calligrafica della Sacra Scrittura all’interno della poetica di Fallini è stato attentamente analizzato da Calzolari e Torlasco nel contributo critico La scrittura dell’assenza. Rimarrebbe qualcosa da dire sul senso dell’operazione all’interno dell’edificio religioso e in relazione alla liturgia. Questo qualcosa non può che riguardare le relazioni che intercorrono fra la Parola e il luogo. Innanzitutto va notato come la parola di Dio sia sempre legata ad un luogo: il Sinai dei Comandamenti, il Giordano del battesimo di Gesù, la montagna delle Beatitudini, il Tabor della Trasfigurazione di Cristo (dove Pietro avrebbe voluto piantare le tre tende). Questo per dire che la parola di Dio nel racconto biblico ha come in sé la vocazione ad essere associata a un luogo. Più in generale e in senso più metaforico tutta la Rivelazione può essere definita come un prendere dimora della parola di Dio fra gli uomini. Tanto è vero che la valorizzazione della Parola su ogni altra cosa è tipica delle religioni del Libro: l’ebraismo e i rotoli della Legge, l’islamismo e le sure del Corano scritte sui muri dei luoghi di culto, iI cristianesimo protestante che pone la Bibbia al posto d’onore sulla mensa della Sacra Cena; a ciò dobbiamo aggiungere il divieto dell’iconicità. La cristianità cattolica e ortodossa contempla un altro elemento centrale del culto, anzi, più centrale ancora della Parola ed è la presenza dell’Eucarestia. In ogni caso anche in ambito cattolico mi sembra esemplare la committenza di una chiesa che richieda “un luogo dove abita la Parola” (1). Esemplare, ma sempre metaforica, perchè la parola, non avendo una spazialità vera e propria, non può di per sé abitare un luogo; può risuonare, echeggiare ma non abitare permanentemente e quanto alla parola contenuta nel libro, essa per sua natura occupa uno spazio bidimensionale, che non è quello a tre dimensioni dell’ambiente. E’ a questo livello che possiamo inserire una valutazione semiologica sull’operazione condotta da Fallini: egli ha conferito spazialità alla parola e l’ha disposta sulle pareti attorno all’altare facendo sì che essa, conquistando una spazialità in senso proprio, possa abitare il luogo. In sostanza l’artista ha preso alla lettera la metafora “Dare dimora alla parola”.
E’ come se, volendo fare il ritratto di una dama dai capelli d’oro, li realizzasse effettivamente con fili dl oro zecchino. Come potremmo definire un’operazione di questo tipo? Saremmo portati a dire che è una forma di comunicazione opposta alla metafora, un’antimetafora, e che, visto che la metafora è una figura della retorica e che la retorica è l’arte della persuasione, Fallini ha voluto essere antiretorico e non ha voluto persuadere nessuno. Si è affidato invece alla fattualità e ha detto: “Ecco, vedete questo è il luogo dove abita la parola”. Nulla di più e nulla di meno di questo. D’altronde lì accanto, dall’altare e dal tabernacolo proviene un messaggio che è per eccellenza antimetaforico: lì l’espressione metaforica “il cristiano vive di Cristo” viene riportata al suo valore letterale, al suo senso più concreto ed elementare: “il cristiano vive del corpo di Cristo”. In ciò sussiste già una prima sottile affinità dell’opera di Fallini con la tradizione cattolica rispetto alle presenze ugualmente aniconiche che abbiamo visto dominanti nel mondo ebraico, islamico e protestante. Ma ne sussistono altre, ben più evidenti: ad esempio il fatto di disporre la parola della Bibbia in termini sequenziali sulle pareti di una chiesa può essere visto come la conclusione della tradizione della Biblia pauperum fatta di immagini (due esempi per tutti: le storie della Genesi di Wiligelmo sulla facciata del duomo di Modena e le storie di Cristo e della Vergine, di Giotto, nella cappella degli Scrovegni a Padova). Ora il cristiano è diventato adulto, ha imparato a leggere e il ricordo della sua tradizione iconica non è altro che la scrittura biblica riportata in sequenza sul muro. Certo non è un destino irrevocabile, ma mi pare una corretta interpretazione dell’opera presente nella SS. Annunziata di Alessandria.
Ma arriviamo infine ad un più stretto legame fra la tradizione liturgica cattolica e l’opera di Fallini, premettendo che Io spazio specifico della parola nella tradizione cattolica è quello della parola proferita, costituito dall’ambone. L’ambone ha una sua duplicità: da un lato(in cornu Evangelii, a sinistra dell’altare) viene letto il Vangelo, dall’altro(in cornu Epistulae, a destra dell’altare) vengono svolte le letture non evangeliche del Nuovo Testamento e quelle del Vecchio Testamento. In questo troviamo già un parallelo con la dislocazione della Bibbia trascritta da Fallini in due partizioni fisicamente separate: da una parte il Vecchio Testamento e dall’altra il Nuovo. Viene spontaneo pensare che questa scrittura non sia altro che l’eco (scritta) delle parole pronunciate dall’ambone. E a questo punto mi immagino che una tale eco potrebbe essere rafforzata dall’illuminazione con tre faretti delle tre letture che si svolgono durante la messa. lndirizzato da questi faretti il fedele, prima di uscire dalla messa, potrebbe andarsi a rivedere le letture del giorno e le pareti scritte, illuminate in quei tre punti, potrebbero essere la visualizzazione di quell’eco, una specie di Muro della Consolazione (così come esiste un Muro del Pianto). Spunto questo che, come altri possibili, fa pensare all’opera di Fallini come ad una vera e propria “invenzione” liturgica.
Settimana Santa 2000
(1) Richiesta del parroco di Santa Maria in Chiesa Rossa a Milano,rivolta all’artista Dan Flavin: vedi Gianni Vattimo,L’arte e l’esperienza del sacro nel Novecento,in: Cattedrali d’Arte .Dan Flavin per Santa Maria in Chiesa Rossa, Fondazione Prada, Milano 1997, p.37.ll libro è un punto fermo sui rapporti fra architettura religiosa e arte contemporanea.Sul “prendere dimora” della parola di Dio fra gli uomini si veda in questo stesso libro Pierluigi Lia, Sull’arte cristiana, p.52.
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