La testa della réclame della Presbitero (un tempo famosa marca di matite), che presentava una folta capigliatura fatta di matite, è rimasta sguarnita, mettendo in evidenza la forma del cranio, che strania il sorriso di quella faccia per quelli che l’avevano vista giovane dal loro cartolaio (rimane solo qualche spezzone di matita sul capo; le più sono cadute e sono tutte vere nel contesto). Inoltre sappiamo che la parola presbitero significa “ più vecchio” ed ecco che i conti tornano (il titolo ha quasi sempre una funzione attivante, accende, come vedremo in seguito, l’immagine). Ad accentuare la vanitas subentra in questo caso la suggestione che è stata definita del “passato prossimo”. Il “passato prossimo” è quello che ci appartiene, che abbiamo vissuto o ereditato dai parenti, quello che ci dà dolore (il passato remoto, quello morto e sepolto, può arrivare persino a darci un senso di pace); se poi, in aggiunta, coincide con il mondo progressivo della modernità, della pubblicità, dell’euforia vitalistica del consumo, allora, trascorsi gli anni, mostrerà ancora di più la corda della sua caducità. In Più vecchio ritroviamo magicamente lo scolaro eterno e quel fiocco azzurro che un tempo abbiamo indossato: è la koinè di ascolto complice che ancora una volta viene ricercata per farsi perdonare la serietà e la gravità dei temi affrontati.
Mario Mantelli |
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