Il Cammino del Camaleonte
di Camilla Bertolino
Il camaleonte sa somigliare ad ogni luogo e mutare il proprio aspetto continuamente, così simile e riconoscibile eppure diverso ogni volta che lo si guarda. Se si trattiene su di lui lo sguardo troppo a lungo ci si accorge che sarebbe opportuno distrarsi, perchè si incorre nel pericolo di somigliargli, quindi di non somigliare a nulla; mancano i punti di riferimento, la direzione del cammino viene meno e molte strade si aprono alla vista. E' difficile seguire una sola via passeggiando tra le opere di Mario Fallini, né è possibile trovare un orizzonte o un punto di approdo, l'unica è seguire delle tracce segnate da immagini apparentemente caotiche, antitetiche, mnemoniche, che riconducono ad un tracciato per ricominciare "Daccapo ". Tuttavia il tracciato è meno di una strada, è l'idea di essa, la sua sillaba e il suo accenno, uno spazio vuoto che si definisce attraverso il passo, l'associazione, il riconoscimento, il simbolo. Lo spazio vuoto è lo spazio nomade, in esso è possibile il continuo spostamento semantico, il movimento è una conquista di luoghi (loci, immagini) che vengono continuamente abbandonati perchè mutevoli e mobili anch'essi, il senso e la direzione cambiano sempre, ogni punto è complementare all'altro e antitetico. Si configura la forma simbolica di uno spazio astratto e cangiante, un'architettura che traccia parallelismi e connessioni che conducono da un luogo all'altro, portano oltre oppure indietro, a seconda del paesaggio che ognuno configura come fittizia proiezione di un racconto, cammino individuale o città immaginaria popolata di parole, simboli, figure, forme. Ogni vuoto nasconde un luogo che è possibile vedere e individuare solo attraverso l'associazione di immagini: l'incrocio dei cammini, mentre parole e immagini costruiscono geografie cangianti, percorsi che cambiano e si deformano come nell'anamorfosi di "Parole Ebbre". Nella mappa dello spazio vuoto si designano una molteplicità di simboli ed emblemi che una volta riconosciuti si sfaldano per ricomporsi successivamente in un nuovo tragitto, architettura di una nuova memoria. Il camminare diviene allora un fatto rituale e simbolico, una pratica di acquisizione e conoscenza, di riconoscimento e ricordo. Nel sottolineare come nelle culture primitive se un individuo non si perde non diventa grande, Franco La Cecla scrive: "I luoghi sono una specie di macchina attraverso i quali si acquisisce un altro stato di coscienza". Nelle opere di Fallini il passaggio dalla parola all'immagine è continuo e repentino, tanto da lasciare spiazzato il viaggiatore che si trova improvvisamente dal titolo all'opera e poi spinto da uno strano vento, un "Flatus Vocis ", su un'altra immagine inciampando su una citazione, un rimando come una corda tesa, che apparsa inaspettatamente, crea un nuovo nesso e fa cambiare il percorso. Tutto ciò oltre che disorientare può provocare effettivi traumi:"Distacco di retina " (perchè l'occhio a questo punto è schizofrenico), o decisioni avventate "La fuga della vedova a quattro piume che fugge con l'impresario scapolo delle pompe funebri" (in fondo non è strano decidere di fuggire se spaventati e un pò confusi), o analisi ipercritiche "Bilancio familiare". Oppure può produrre nel viaggiatore la consapevolezza che il conquistato nomadismo offre continui e inaspettati paesaggi, geografie che egli può costruire, percorrere e mutare nel corso dell'attraversamento, con la possibilità di somigliare al tutto o di non somigliare a niente, proprio come nel cammino del camaleonte. E a pensarci bene nel caso di Fallini ci si trova di fronte ad un nomade che compie un "Viaggio intorno alla mia stanza". ("Voyage autour de ma chambre" di Xavier de Maistre ). Anche qui il protagonista (che risulta essere l'autore stesso), confinato nella propria stanza, la percorre in lungo, in largo, in diagonale e zigzagando. De Maistre effettua questo "viaggio" seduto sulla poltrona da cui non ama muoversi e grazie ad esso riemergono, attraverso gli oggetti e i mobili osservati tanto dettagliatamente, ricordi e memorie. Le vie che si aprono sono quelle del mito, del gioco, dell'alchimia, dell'erotismo, dell'inconscio, della scrittura e della riscrittura; elementi immessi in opere che si dilatano in digressioni, riferimenti, citazioni, come testi aperti e narrazioni labirintiche. La mappa che si crea è una "Carta della memoria", essa è piegata in quattro come una carta stradale mentre aperta reca la figura della Memoria del Ripa. Si crea una rappresentazione sospesa in un tempo immobile che si muove velocissimo, un tempo narrativo legato al percorso e alla parola, un tempo medievale in relazione ad opere quali: "Le mille e una notte", "Il nome della rosa", "Il Cavallo di Troia" e "La Bibbia". Infine un tempo contemporaneo di voli onirici e riferimenti in cui lo slittamento del significato e della citazione è repentino. In "Petaso " un cervello di fosforo è sovrastato da due ali, guanti di pelle che alludono al volo ma al contempo alle mani del faber, la mente diventa azione, le mani sono strumenti e il cervello è il copricapo dell'inafferrabile dio viaggiatore. La sovrapposizione del tempo lento, medievale, (il cammino del pellegrinaggio) e di quello accelerato della contemporaneità, conduce alla dimensione sospesa e ad un tempo fermo, ad uno spazio vuoto, l'arresto dello sguardo, il fiato trattenuto ad afferrare il momento presente. Nel pellegrinaggio, durante l'attraversamento di luoghi ignoti, si colgono le voci delle cose animate attraverso il passo, la lentezza non è rallentamento ma concentrazione e ascolto, scoperta del mistero. La parola è l'architettura che mette in relazione i differenti tempi, essa è durata e nesso. Il viaggio parte da casa, dagli oggetti consueti, immagini quotidiane o popolari, ripetute perchè impresse nella memoria: "Perpetuità", "Monoscopio ", la serie delle "Pizze", "Aula", "Letto matrimoniale", "Appunti di viaggio", "Aprés Marcantonio Raimondi", "Creazione", "Made in Italy " sono immagini collezionate da una memoria condivisa e comune, esse offrono una riflessione ironica, un serio ludere dal quale partire. In uno spostamento veloce lo sguardo si dirige verso l'alto in un pindarico volo aereo, dalla terra al cielo, dal particolare all'universale, da qui appaiono una molteplicità di immagini indistinte, una veduta aerea che esprime la potenzialità dell'idea del Teatro della Memoria come grande archivio.
Talora il rapporto tra parola e immagine è bilanciato, titolo e opera si completano, a volte invece risulta volutamente incongruente o ribaltato così come nel Teatro di Giulio Camillo lo spettatore si trova al contrario rispetto al teatro classico. La recezione si sposta e il senso, come il punto di vista, mutano. Si affaccia il tema del contrario: "Imitazione " (dall'allegoria di Cesare Ripa) mostra un'immagine che dalla pirografia viene ripetuta passando a vari supporti e materiali. Per contro "ll nano Dotto sulle spalle del Gigante" offre una citazione antitetica e ironica. Il viaggiatore è indotto a scegliere il proprio cammino, una visione aerea o il pellegrinaggio. In questo modo il camminare assume una prospettiva in cui si è attori del proprio fare, un frammento di qualcosa che si ha consumato e continuamente ripetuto. La ripetizione tuttavia conduce alla divagazione, così si diventa girovaghi e sia nella ripetizione, sia nella nuova strada, si ripercorre qualcosa che trascorre addosso o è già trascorso, non importa, è lo spazio vuoto, il cammino nomade condurrà comunque da qualche parte. In ultimo, tornando al "Viaggio intorno alla mia stanza" e ripensando al camaleontico Fallini, è emblematico ricordare che quando Xavier de Maistre descrive agli ospiti le stampe e i quadri della sua stanza, presenta per ultimo, il pezzo forte della sua collezione: uno specchio...
Dicembre 2011 - Gennaio 2012
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