Anche la Bibbia, un’imitazione? O non piuttosto una copiatura, una pura e semplice trascrizione? Fedele a un sogno, continuando nel solco che risale alla mostra De imitatione... dal 1977 (1991) - vi si poteva leggere, a inchiostro su carta, il manoscritto de Il nome della rosa - e serpeggia più tardi (1991-1993) nell’avventura delle Mille e una notte, penna a sfera su lenzuolo, per consistere ora nei mattoni di questa chiesa, Fallini ha lungamente ripetuto lo stesso atto ingrato, di una scrupolosa trascrizione. Cambiavano i testi e i materiali, insisteva immutata nel segno paziente, a scandire gli anni, la mano. E tuttavia anche la scrittura della Bibbia non è più, in realtà, la stessa del Nome della rosa e delle Mille e una notte. Rimangono riconoscibili, è beninteso, i caratteri di cui l’occhio ha fatto esperienza, ma la mano ne ha fornito soltanto i modelli, una serie di accurati campioni per ogni lettera, che poi il computer ha organizzato, composto in sequenze di parole compiute, di frasi, fino a riprodurre l’intera compagine del Vecchio e del Nuovo Testamento, che risplende ai fedeli in quest’oro sul fondo blu delle 231 formelle. E’ proprio questa scrittura, che non è di mano di Fallini, anche se i caratteri che porta sono tutti di mano sua, a sollecitare l’indagine. Si direbbe una sfida. E non tanto nel misurarsi con la Sacra Scrittura - quale sfida è imputabile a una trascrizione? - quanto nel prodursi come scrittura denegata, virtuale, che può persino ignorare sé stessa, e dunque il testo che scrive. Fallini potrebbe non aver mai letto la Bibbia: è lo scanner che ha letto - si fa per dire - il testo; il computer lo ha memorizzato e poi, docile ai comandi impartiti dal programmatore Giorgio Annone, lo ha riprodotto, sostituendo ai caratteri a stampa i campioni di grafemi (un certo numero per ogni lettera, che si succedono, si suppone, ricorsivamente) forniti in anticipo da Fallini. Sicché questa risulta una trascrizione senza lettura, perché nemmeno il computer capisce il senso dei caratteri che rileva e memorizza. Per tale inaudita assenza viene fatto di chiedersi, come si è detto all’inizio, se la Bibbia della SS. Annunziata di Alessandria non sia piuttosto un’imitazione. E, ancora, se a Fallini non sia riuscita, grazie all’ausilio dell’elettronica, l’operazione di cui parla Lévi-Strauss, quando racconta (nei Tristi tropici) di un capo Nambikwara che traccia linee sinuose e contorte sulla carta per fingere, agli occhi degli altri indiani, di saper scrivere e leggere come l’uomo bianco (del resto, càpita spesso di vedere dei bambini ancora analfabeti imitare allo stesso modo la scrittura degli adulti). Potenzialmente incapace di leggere, Fallini sarebbe stato però capace di trascrivere, e non per finta, come negli indecifrabili e ingenui scarabocchi del capo indiano: perché chiunque è in grado di leggere il testo iscritto sulle formelle e di comprenderne perfettamente il senso [...] .
testo tratto da "La Scrittura dell'Assenza" (2000) di Andrea Calzolari - Maria Rosa Torlasco |
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